Milletrecento operatori del sociale, privato e pubblico, amministratori, politici, associazioni. E otto «cantieri» di lavoro per confrontarsi, studiare, proporre. «Strada facendo 3» a Cagliari, dopo Torino (2002) e Perugia (2005), vuole essere un altro tratto di cammino. Perché questo ci chiedono le persone: essere sempre un passo più in là. Per accorciare la distanza tra la disperazione e la speranza, tra l'inerzia e il cambiamento, tra lo sfruttamento e i diritti. Ci chiedono di essere costruttori di una giustizia che si misuri anche in termini di prossimità. E' proprio questa giustizia, oggi, a essere minacciata. Non è tanto l'evidente difficoltà a portare avanti i temi sociali più scomodi, ma il venire meno della cornice culturale che deve accompagnare il cambiamento. Emergono semplificazioni, scorciatoie. Il presente è assediato dalla paura e dal bisogno di sicurezza. C'è molta solitudine, molte forme di egoismo, sfiducia, fastidio e ostilità verso il prossimo. La cronaca parla di sassate ai campi rom, di due morti suicidi ieri in un Cpt. Noi abbiamo una grande responsabilità: le scelte sociali devono essere frutto di un processo collettivo che tiene conto di una profonda trasformazione culturale. Il perno di questa trasformazione è la saldatura tra la libertà e la responsabilità, la capacità di vivere la propria libertà in rapporto con gli altri, non a scapito degli altri. L'esigenza di sicurezza è sacrosanta, ma va assicurata entro le regole dello Stato di diritto e del sistema delle garanzie. Non si tratta di giustificare il crimine, ma bisogna avere il coraggio di riconoscere che chi vive ai margini, senza opportunità di integrazione, è più incline a commettere reati rispetto a chi è integrato. Tutti i dati lo confermano. In uno dei cantieri di Strada Facendo, il filo conduttore sarà proprio la sicurezza, una sicurezza che parte dai diritti e dalle responsabilità. Che non si dimentica che la vita delle persone viene prima delle leggi perché è delle leggi il fondamento. Negli ultimi anni c'è stata una crescita della solidarietà. Confesso di essere preoccupato di questa crescita perché ho visto, al tempo stesso, una diminuzione dei diritti e delle garanzie sociali. Dunque, provocatoriamente, dico che vogliamo meno solidarietà e più diritti, cioè più giustizia. Vogliamo società più accoglienti e più giuste, più accoglienti perché più giuste. Vogliamo società che abbiano il coraggio di ripensarsi e di rifondarsi a partire dagli ultimi. Di ripartire dai più fragili, esclusi o inclusi - tante persone economicamente e culturalmente garantite, ma povere e fragili dentro - senza dimenticare la lezione di don Milani, il suo monito ad andare a cercare le persone, ma anche quella di Basaglia, che ha voluto annullare la distanza, la relazione di «potere» fra medico e malato. La nostra sfida è quella di produrre una nuova coscienza nel segno della giustizia e della solidarietà, dei valori etici e civili. Dobbiamo dirci ancora una volta che l'accoglienza e la legalità si incontrano sul valore della giustizia. La giustizia è il filtro critico che verifica la serietà dell'accoglienza e la validità della legalità. La giustizia bisogna desiderarla, amarla, fare sacrifici per averla. Ricordando un monito del Vangelo, che può essere accolto da tutti, credenti e laici: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te».
Luigi Ciotti
il manifesto del 20 Ottobre 2007
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